Perché non volere figli non è ancora un diritto, ma una colpa

Avere un figlio è davvero una cosa che tutte desiderano, o ci sono anche donne che sentono di non volere figli?
Queste ultime non sono “bestie rare”, esistono. E non hanno nessuna malformazione cerebrale o emotiva! Semplicemente non desiderano essere madri, nel senso biologico del termine.

La maggior parte delle mamme racconta che l’emozione di avere un figlio sia impagabile. Essere madri per molte donne è fondamentale per sentirsi realizzate e per alcune di loro avere un figlio a tutti i costi diventa purtroppo un’ossessione.

Ma oltre alle mamme felici, alle donne ossessionate dalla maternità e alle ragazze che sognano di avere un figlio per coronare la loro storia d’amore, ci sono anche donne che confessano di essersi pentite di aver messo al mondo dei figli.

È evidente che per loro costituire una famiglia non sia stato il modo ideale per realizzarsi, anzi: una scelta affrettata o poco consapevole le ha portate a vivere di rimorsi e frustrazioni. Sono consapevole che diverse persone leggendomi penseranno che sto dicendo una cosa bestiale, che non si può dire o che non si vuol sentire, ma oggi molte donne sentono la maternità come un limite per sé e per la vita di coppia. E sono certa che molte delle mamme che stanno leggendo queste righe stiano pensando “Beh, che bella scoperta: avere un figlio ti porta certamente a rinunciare, ti cambia la vita!”.

È chiaro che la maternità sia un miracolo, un dono, qualcosa che appartiene al nostro sesso biologico e rende speciale l’essere donne, ma è altrettanto vero che una donna non dovrebbe esaurire nell’avere un figlio il proprio senso come individuo, le proprie aspirazioni ed energie, non trovi?


SOMMARIO


Non volere figli: una colpa o un diritto mancato?

Un anno e mezzo fa ho iniziato il percorso con Martina, architetta in libera professione, madre di un bimbo di 4 anni e di due ragazzi adolescenti, figli del suo compagno.

Mi chiede aiuto per lavorare sull’organizzazione del suo lavoro e per ottenere un maggior riconoscimento economico del contributo apportato allo studio dell’architetto senior con cui collaborava da qualche anno, e su cui convogliava clienti e progetti importanti, senza mai essere adeguatamente considerata. 

Due giorni prima di iniziare il percorso mi scrive, spiazzata dalla notizia imprevista di una gravidanza: le è improvvisamente crollato il mondo addosso.

La sua gestione faticosa dell’equilibrio vita/lavoro l’aveva fatta entrare da tempo nell’ottica di non volere altri figli.

Come avrebbe fatto adesso che già si sentiva oberata ed incapace di far fronte a tutto?!

Avere un altro figlio avrebbe significato interrompere nuovamente la sua carriera e dover ripartire da zero o quasi.

Avrebbe significato avere altri impegni da incastrare, nuovi equilibri da gestire: il solo pensiero l’aveva mandata in burn-out.

Iniziamo la prima sessione con il racconto di questo momento delicato: mi informa che nel pomeriggio avrebbe avuto la visita con il compagno dalla ginecologa per l’interruzione di gravidanza.

La aiuto a riflettere sui suoi valori, sulle ragioni di quella scelta “già presa” sulla base dell’emotività e del senso di sopraffazione che l’aveva colta nel momento in cui il test le aveva restituito un risultato positivo.

Nel pomeriggio mi scrive: “Cristina, non potrò mai ringraziarti abbastanza per l’incontro di oggi. Abbiamo deciso di tenerlo!”.

Quando è nata Lisa ho ricevuto la sua foto: mi sento un po’ la sua madrina e penso a quante vite abbia cambiato il mio colloquio con Martina di quel giorno.

Questo episodio di vita vissuta, che credo non dimenticherò mai, mi ha fatto tornare alla mente il passaggio di un libro che ho letto qualche tempo fa, e che ti riporto qui.

Ci fa riflettere sul ruolo della volontà, della sorte e delle convenzioni (costrizioni) sociali rispetto alla maternità.

La lotteria: tutti sanno come funziona. 

Con l’arrivo del primo ciclo mestruale, ogni ragazza viene chiamata a conoscere il proprio futuro attraverso l’estrazione di un biglietto: bianco corrisponde a matrimonio, figli e dedizione totale alla famiglia; blu significa carriera, successo, indipendenza e divieto assoluto di diventare madre”.

Biglietto Blu – Sophie Mackintosh

Può apparire come un mondo immaginario, quello di Mackintosh, in cui l’assegnazione della sorte di essere o meno madre è legittima e inappellabile, una sentenza dall’alto.

Ma, pensandoci bene, è un’immagine non troppo lontana dalle imposizioni e consuetudini della nostra società patriarcale: Quante donne decidono consapevolmente di voler diventare madri?
Quante lo fanno, ancora oggi, perché è stato loro detto che è naturale diventarlo?

Come sostiene Giulia Blasi nel TEDxUNICATTWomen “Perché dovremmo diventare madri?” la maternità come evento naturale, l’istinto materno e l’orologio biologico sono state infatti inventate proprio dalla società patriarcale per tenerci in trappola, per non permetterci di scegliere se i figli li vogliamo oppure no.

“Non ti piacciono i bambini?”.

“Quando ci darai il primo nipotino?”.

“Ma non ti piacerebbe fare un figlio?”.

Se hai tra i 30 e i 40 anni, sei sposata o convivi, hai un lavoro stabile e un tetto sopra la testa, ti sarà capitato, almeno una volta nella vita, di sentirti incalzare con una di queste domande. 

“No! Non voglio figli, sono convinta di non voler avere figli, e sono stanca di dover rispondere a: quando ti sposi?, quando fai un figlio? Voglio solo poter fare una scelta lontana dal modello di donna procreatrice, una scelta consapevole, lontana dai condizionamenti sociali”.

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Ci sono donne con le idee così chiare fin da giovani e c’è chi invece è ancora indecisa, probabilmente proprio perché accerchiata dal mito della donna procreatrice o dal fatto che sia naturale volere i figli. 

Ma se anche tu, in questo momenti ti stai chiedendo se dovrai, prima o poi, fare un figlio, sappi che non è così. 

Non DOVRAI averne perchè qualcuno instilla in te sensi di colpa facendoti sentire diversa perchè non ti senti pronta ad averne.

Ma so benissimo che se non sei ancora fermamente convinta di non volerne, i discorsi sul calo delle nascite e le visioni catastrofiste sull’estinzione del genere umano possono accrescere in te i dubbi e aumentare il tuo senso di colpa.

Senza considerare quanto queste domande siano indelicate per chi li vuole ma non può averli, per diversi motivi: di salute, economici o di mancanza di politiche di welfare da cui essere supportate nella gestione della propria famiglia.

Secondo il report Istat 2023 nel 2022 è proseguito il calo delle nascite che ha avuto inizio nel 2018. Questo è dovuto in parte all’invecchiamento della popolazione femminile nell’età convenzionalmente considerata riproduttiva (dai 15 ai 49 anni) e in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. 

Tra le donne che concludono il periodo fecondo senza figli (definite childless) più di una su quattro sembrerebbe non averne mai voluti: le persone che scelgono di non volere figli sono infatti dette childfree (formato dalle parole in inglese child che sta per bambino e free che vuol dire libero).

Come sottolinea anche la sociolinguista Vera Gheno nella puntata del 16 aprile 2023 del suo podcast settimanale Amare Parole “La narrazione della maternità appare come una benedizione alla quale è inconcepibile che una donna rinunci, la nostra società fatica a riconoscere l’arbitrio di una donna che ha preso questa decisione”.

La società ancora oggi chiede solo alle donne di assumersi il peso di questa scelta: si parla pochissimo di famiglie che decidono di non avere figli, ma sempre di donne, come se da sole dovessimo scegliere se posizionarci in una delle due categorie: biglietto bianco (madri) o biglietto blu (donne in carriera senza figli). 

E se invece si creasse un contesto sociale e culturale nel quale una donna non debba scegliere tra l’una e l’altra cosa? Tra carriera e famiglia? 

Perpetrando il mito della Donna realizzata solo tramite la maternità, in realtà, la nostra società ci sta privando del diritto di scelta perché, nella pratica e senza il supporto di nonni e famiglie, oggi una conciliazione non è ancora possibile in Italia (e non solo) per mancanza di politiche di welfare.

Non sono portata per fare la mamma 

“Ho 30 anni, non sono sposata, non ho figli…e va bene così”.

Quante volte, in passato, avrei voluto rispondere così fermamente ma ho optato poi per la diplomazia, scegliendo frasi evasive o di circostanza, per camuffare il desiderio di mandare al diavolo chi me la poneva.

Credo che, purtroppo, sarà capitato anche a te di dover rispondere alla fatidica domanda:

“30 anni?! Ma allora, quand’è che fai un figlio?”

…Ma che domanda è “Quando fai un figlio?”!?. Lo farò quando ne avrò voglia, o quando mi sembrerà il momento di avere un figlio o quando le coincidenze astrali saranno propizie (nel caso in cui ci stessi provando magari da tempo ma senza successo, ad esempio…).

Decidere di avere un figlio è una scelta radicale per molti motivi, da quelli emotivi, a quelli economici, a quelli professionali. 

Del resto, essendo naturalmente predisposte a dare la vita, per la fisiologia del nostro corpo, capita a molte donne di entrare in un conflitto aspro con loro stesse, e di non riuscire facilmente a capire se l’idea di avere un figlio le spaventa per ovvi motivi, oppure se l’ansia di averlo significa che la loro parte profonda non desidera provare questa esperienza.

Il punto è proprio il fatto che la maternità sia comunemente considerata un aspetto naturale e per questo universalmente desiderabile. Questo è il primo preconcetto che contribuisce a metterci in crisi.

La stessa espressione “Quand’è che fai un figlio?”, oltre ad essere sintatticamente poco corretta, è tendenziosa perché non prevede la possibilità di un’alternativa o prospettiva differente.

Non ci stanno chiedendo SE desideriamo diventare madri o SE nei nostri progetti per il futuro c’è, tra le varie cose, anche l’idea di avere un figlio, di “mettere su famiglia” ma ce lo stanno imponendo: quando lo farai (sottinteso “quel figlio che per forza di cose, tutte le coppie ormai arrivate a questa età devono necessariamente desiderare ed avere”?).

Si tratta di un’imposizione di contenuto e di valori che alcune donne potrebbero anche – e a pieno diritto – non ritenere opportuna.

La scelta definitiva di non avere figli, è consciamente o inconsciamente legata a motivazioni molto pratiche, come ben evidenziato in una newsletter di Ladynomics, che ho ricevuto qualche settimana fa.

Tra i principali fattori della maternità che negli ultimi anni le donne prendono in considerazione prima di decidere se avere un figlio oppure no, spiccano infatti:

  • l’aspetto economico: secondo la stima di Federconsumatori la media dei costi per mantenere un figlio/a fino ai suoi 18 anni si aggira intorno ai 175.000 euro;
  • la mole di lavoro domestico che aumenterebbe, spesso a carico della sola donna;
  • le conseguenze dell’allattamento che richiede, per i primi mesi di vita, una disponibilità di impegno nella cura da parte della donna pari a 17-20 ore a settimana;
  • la penalizzazione delle neomadri una volta rientrate al lavoro con poche possibilità di accedere ad avanzamenti di carriera e stipendi fermi per anni.

Di fronte a queste conseguenze una donna non può che essere tormentata da domande tipo:

Sono pronta per avere un figlio? Cosa comporta avere un figlio in termini di equilibrio personale? Ho paura di avere un figlio con il mio compagno, come mai? Non sono pronta per avere un figlio, ma sarà sempre così? Perché non voglio avere un figlio, forse sono una donna sbagliata? 

Quindi, se una donna non ha quel desiderio spiccato, ad un certo punto desiste e decide di non avere figli.

A sostegno della tesi che l’istinto materno non esiste interviene anche la psicoterapeuta Stefenia Andreoli nel suo libro ”Lo faccio per me”:

“Diventiamo madri, nessuna lo è per natura.”

Ancora una volta, quell’idea della naturale propensione femminile all’accudimento è un costrutto culturale che, per secoli, ha permesso agli uomini di uscire di casa, dedicarsi al lavoro e obbligato le donne ad occuparsi della casa, dei figli, degli anziani…

Continuando a parafrasare Andreoli, il fatto che il corpo femminile sia fisiologicamente predisposto ad accogliere un bambino, a sostenere gravidanza, parto e allattamento non avvalora la tesi che sia votato alla maternità.

È un po’ come dire che se hai un corpo da modella devi obbligatoriamente fare la modella.

Il corpo da modella non serve a nulla se poi non ami essere al centro delle scene, metterti in mostra, fare vita mondana.

Sei dotata degli strumenti atti a procreare, ma non devi per forza usarli.

Con diverse donne che hanno intrapreso il mio percorso 3MesixSvoltare, mi è capitato di dover smantellare l’idea di scegliere tra carriera e famiglia, l’idea di un modello unico di maternità votato interamente ai figli che le ha fatte sentire per anni inadatte a diventare madri.

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Ha già aiutato decine di donne a realizzare le proprie ambizioni. Se vuoi scoprire come, clicca il pulsante per saperne di più!

Le mie clienti sono donne, professioniste, imprenditrici che danno la stessa importanza alla realizzazione professionale e familiare, e che vogliono liberarsi o si sono liberate dalla scelta obbligata di non averne per favorire la loro carriera.

Attraverso la costruzione di nuovi modelli femminili, lontani da quello unico e granitico imposto dalla società patriarcale, partendo dall’organizzazione del proprio tempo e dalla gestione delle relazioni sono state in grado di conciliare lavoro e famiglia riequilibrando i ritmi di lavoro, per tornare a svolgerlo con passione e ritrovando tempo di qualità da dedicare alla loro vita privata.

Come Alessandra che si è resa conto di aver messo al primo posto la famiglia nella sua scala di valori, per troppo tempo, quando invece i suoi valori guida principali erano quelli del successo e del lasciare un impatto nel mondo. 

Grazie a un lavoro di consapevolezza ed accettazione di sé stessa e delle proprie ambizioni, ora fa di questa conquista un’ispirazione per molte altre donne di talento, ed è riuscita ad incanalare le energie – prima impiegate per lottare contro se stessa – in un progetto politico che le ha permesso di diventare assessore alla famiglia, rappresentando un modello di donna competente, impegnata e consapevole, desiderosa di battersi affinché tutte le madri abbiano accesso ad opportunità realmente paritarie: 

Come Eleonora, avvocata innamorata del proprio lavoro tanto da farne una missione, che stava rischiando di farle trascurare parti altrettanto importanti della sua vita.

Ma per fortuna se n’è accorta per tempo, e si è lasciata guidare da me nella ricerca di quell’equilibrio tanto importante quanto faticoso da perseguire da sola.

L’ho aiutata a:

  • guardare la sua routine e le sue abitudini da una prospettiva diversa;
  • a capire che aveva il potere di cambiare le cose, se lo voleva;
  • a farlo realmente, anche se il cambiamento le costava fatica, perché in gioco c’era qualcosa di grande: la sua serenità.

Il rientro al lavoro dopo la prima maternità è stato per Eleonora un’occasione per riflettere sui propri modelli di riferimento e sulla necessità di essere a sua volta per sua figlia Vittoria un esempio di Persona e Donna serena e auto-determinata, che proprio per questo può essere una Professionista ancora migliore.

Non voglio figli, ma lui sì: avere un figlio tra realizzazione e frustrazione 

Quello che sto notando – senza la pretesa di essere scientifica in ciò che dico, ma solo sulla base della mia esperienza quotidiana personale – è che oggi sono molto più gli uomini ad avere un desiderio di paternità di quanto le donne non abbiano quello di maternità.

O meglio: molti uomini sentono che avere un figlio sia una cosa naturale, che arriva ad un certo punto della vita, mentre per una donna è diverso: per lei spesso significa dover interrompere bruscamente un flusso di progetti e possibilità che magari con fatica ha appena iniziato a prendere il proprio corso. 

Per noi donne avere un figlio spesso significa doversi mettere da parte in un momento in cui non ci sentiamo ancora complete. Come se il nostro lento e complicato cammino di crescita personale per realizzarci nella vita dovesse essere momentaneamente congelato.

Era un po’ il timore di Anna che, pur essendo già una mamma soddisfatta e serena di un bimbo di 5 anni, alle prese con la sua seconda maternità è stata colpita dal timore di “perdere il suo ruolo” una volta rientrata al lavoro.

Con Anna ho lavorato durante un percorso di gruppo in azienda, nel quale ho comunque potuto supportarla anche su questi aspetti più personali.

Sono dell’idea che ogni donna sia padrona di scegliere per sé (e con il proprio uomo) se avere o meno dei figli, libera da preconcetti ed abitudini culturali.

Molto spesso però, più degli uomini, sono le donne stesse ad essere influenzate dai condizionamenti della società patriarcale e me ne rendo conto nei miei scambi quotidiani con le persone che frequentano i miei canali social.

Tempo fa, ad esempio, ho condiviso sulla mia pagina FB un articolo intitolato “Non sei mamma, non puoi capire”, che ha avuto una lunga serie di reazioni e commenti da parte di donne di entrambi gli schieramenti.

Già, ho detto “schieramenti” perché su questa atavica questione i toni si fanno accesi, le lame affilate, e la sorellanza femminile che in alcuni casi siamo brave a coltivare lascia il posto allo scontro tra invidie e frustrazioni.

Di questo limite ho parlato anche diversi anni fa con Aldo Cazzullo, nell’intervista podcast che trovi incorporata in questo articolo. Mi amareggia parecchio constatare che talvolta le donne si comportano duramente con le altre, come se fossero in continua competizione.

Mai come in questo caso la battaglia è accesa, e si tratta di una questione anzitutto legata ad un atto di amore. Amore nei confronti del proprio compagno, amore nei confronti di sé stesse, amore nel dare la vita. 

E forse la partita della decisione si gioca qui: nel peso tra le diverse forme di amore, le diverse intensità o interpretazioni dell’amore che una donna può vivere nel corso della sua vita e con cui può misurare la propria realizzazione personale.

Se sei arrivata fin qui, può essere che tu ti stia chiedendo a questo punto come capire se è il momento per avere figli.

Come mi è consueto, propongo qualche  suggerimento che possa essere d’aiuto a te e a molte altre donne che ancora non hanno preso una decisione definitiva sulla questione.

Una buona idea potrebbe anzitutto quella di confrontarsi con altre: ascoltare le loro esperienze di vita pratica ed il modo in cui riescono a conciliare le loro ambizioni con la vita familiare.

Ma naturalmente la nostra vita è unica e irripetibile, non è mai paragonabile a quella delle  persone che ci stanno attorno, quindi è importante puntare su un lavoro di auto-analisi che ci aiuti a comprenderci a fondo e a comportarci in modo armonico rispetto alle nostre reali intenzioni.

Per aiutarti, ho pensato di guidarti con questi 3 step: 

1- PARTI DA TE PER CAPIRE COSA DESIDERI

Fallo ascoltando il tuo corpo, le tue sensazioni quando ti fai quella domanda “Voglio un figlio?”. Se la tua mente razionale può ingannarti, assecondare gli altri, suggerirti false strade, la tua parte profonda SA quello che vuoi davvero.

Puoi iniziare anche in modo molto semplice, con delle domande ripetute che ti fanno capire quali sensazioni fisiche ti manda il tuo corpo per darti risposte affermative o negative.

2 – SII ONESTA CON IL TUO COMPAGNO

Non è una cosa scontata in quanto se fino a questo momento sei stata incerta sul da farsi, ora hai la tua risposta. Se conosci già il desiderio del tuo compagno, hai già una buona base da cui partire. Se entrambi siete allineati nella decisione affermativa o in quella negativa vi sentirete immediatamente sollevati; al contrario, nel caso in cui siate su fronti opposti, sarà necessario mediare, confrontarsi, trovare un compromesso, che in questo caso implica certo per uno dei due “cedere il passo”, se non addirittura rivalutare totalmente la vostra relazione

È un passaggio molto delicato all’interno del rapporto di coppia, che se mal gestito può compromettere la relazione stessa o comunque minarne le fondamenta, trattandosi di una questione particolarmente importante per la vita a due.

3- PROCEDI A TESTA ALTA

“Non ti curar di loro, ma guarda e passa” diceva Virgilio a Dante. Tu fai lo stesso con chi ti incalza a fare qualcosa che non vuoi o che ti sollecita  a rispondere a domande che ti sembrano inopportune. Costruisciti i tuoi filtri, proteggiti dietro un bel sorriso, oppure rispondi decisa e poi lascia andare.

La maggior parte delle persone non ha intenzione di ferirti, né di farti arrabbiare, ma semplicisticamente pensa che una questione così delicata per noi sia un tema di conversazione leggero e naturale, che era scontato rivolgere alle nuove coppie fino a qualche decennio fa!

Per concludere ti lascio con una considerazione finale, che ritengo della massima importanza. La nostra vita è un insieme di scelte, ce ne sono però alcune più determinanti di altre. Quella di avere un figlio è una delle più delicate, soprattutto per una donna.

Indipendentemente da quello che tu pensi o senti a riguardo, mi preme ricordarti che anche tu, come ogni donna su questa terra, hai il diritto realizzarti, e che potrai farlo con o senza figli. 

È il momento di darti il permesso di desiderare di più, e di riuscire ad ottenerlo!

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