Sul Mansplaining ed altri espedienti comunicativi che tengono in scacco le donne

Il termine “mansplaining” descrive una forma di comunicazione in cui un uomo spiega qualcosa a una donna, presupponendo che lei ne sappia meno di lui su quell’argomento, per via del suo genere. Riconoscere e contrastare il mansplaining è fondamentale per garantire alle donne la possibilità di prendersi i propri spazi e meriti.

Farlo non è sempre semplice, ma sono convinta che le attività di formazione nelle aziende e la divulgazione alle donne di strategie di self-empowerment, potranno creare, nel tempo, una nuova cultura rispettosa delle pari opportunità e del valore di ogni persona, a prescindere dal genere di appartenenza.

Il blog post di oggi vuole essere un piccolo contributo a questa causa. È dedicato ad Anna, che me lo ha ispirato, e a tutte le altre donne che ho aiutato e che aiuterò a far brillare le proprie capacità, infrangendo pezzo per pezzo le incrostazioni del sessismo imperante.


SOMMARIO


Mansplaining: significato, origini ed evoluzione del termine

Il fenomeno del mansplaining viene per la prima volta descritto intenzionalmente nell’articolo Men Explain Things to Me di Rebecca Solnit nel 2009.

Si tratta della situazione in cui un uomo spiega – spesso con supponenza – qualcosa a una donna senza che lei lo abbia chiesto, con l’intento di sottolineare di saperne molto più su un determinato argomento. L’autrice stessa ricorda nel suo scritto una situazione paradossale in cui è stata vittima di mansplaining, e ci aiuta a farci immediatamente un’idea vivida della questione:

“Allora, ho sentito che ha scritto un paio di libri”. “A dire il vero ne ho scritti molti”, ho risposto. E lui, con lo stesso tono di chi incoraggia una bambina di sette anni a raccontargli come vanno le lezioni di flauto, mi ha chiesto: “E di cosa parlano?”. I primi sei o sette erano su argomenti diversi, così gli ho detto che l’ultimo (in quell’estate del 2003) era River of shadows: Eadweard Muybridge and the technological wild west, un libro sull’annichilimento del tempo e dello spazio e l’industrializzazione della vita quotidiana. Appena ho nominato Muybridge mi ha interrotto: “Ma lo sa che quest’anno è uscito un libro molto importante su Muybridge?”

Mi stava incastrando nel ruolo dell’ingenua e per un attimo ho pensato davvero di essermi persa un libro sullo stesso argomento del mio. Intanto il tizio aveva cominciato a parlarmi di questo testo molto importante con lo sguardo compiaciuto tipico degli uomini che pontificano, perso nell’orizzonte lontano della propria presunzione.

(…)continuava con aria compiaciuta a parlare del libro che avrei dovuto conoscere, quando Sallie l’ha interrotto per spiegargli che si trattava del mio libro. O quantomeno ha provato a interromperlo, ma lui non l’ascoltava. Ha dovuto ripeterglielo tre o quattro volte prima che gli entrasse in testa. Poi, come in un romanzo dell’ottocento, lui è rimasto di sasso. E così ero l’autrice del libro molto importante che lui in realtà non aveva mai aperto, ma di cui aveva letto una recensione sulla New York Times Book Review qualche mese prima: questo fatto gli ha confuso a tal punto le categorie in cui incasellava il mondo che è rimasto per un attimo senza parole, prima di ricominciare a sputare sentenze. A quel punto, con un’educazione tutta femminile, ci siamo prima allontanate e poi siamo scoppiate a ridere come matte.

Rebecca Solnit – Gli uomini mi spiegano le cose

Questo fenomeno è molto comune e radicato nella mentalità tradizionale, secondo cui gli uomini sono considerati detentori naturali del sapere.

Se pensiamo a quanti ambiti, nel corso della storia umana, siano stati descritti quasi esclusivamente (fino a poco tempo fa) con gli occhi degli uomini e a partire dalle imprese di altri uomini, escludendo in toto il genere femminile, comprendere come questa cosa sia possibile diventa molto semplice.

La parola mansplaining venne coniata subito dopo la prima pubblicazione dell’articolo di Solnit anche se in seguito l’invenzione è stata attribuita a lei.

L’autrice, al contrario, dichiara di non utilizzarla molto e di non amarla nemmeno particolarmente, in quanto banalizza la questione, diffondendo erroneamente l’idea che “fare mansplaining sia un difetto congenito delle persone nate biologicamente come uomini” o che spiegare le cose agli altri sia sempre sbagliato, a prescindere.

Nel 2012 il termine mansplained (nel 2010 una delle parole dell’anno secondo il New York Times) era ormai in uso nel giornalismo politico mainstream, in cui i temi di genere si erano fatti ricorrenti per via dell’incalzare di alcuni dibattiti su questioni calde, quali la violenza sessuale e l’aborto.

Non che prima dello scritto di Solnit il mansplaining non esistesse, ma si presentava come un fenomeno nascosto tra le pieghe della cultura patriarcale, spesso tanto pervasivo ed abituale da passare inosservato. 

Solnit si rende conto che il suo contributo può essere proprio questo: rendere evidente quell’elefante nella stanza, che è sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno nomina e racconta, fingendo che non esista. 

“Una sera di marzo del 2008, durante una cena, scherzando cominciai a dire, come già avevo fatto molte altre volte, che avrei scritto un saggio dal titolo «Gli uomini mi spiegano le cose». Ogni scrittore ha una scuderia di idee che alla fine non ce la fanno a scendere in pista, e io per divertirmi ogni tanto facevo trottare questo pony fuori dalla stalla. La persona che stavo ospitando, la geniale teorica e attivista Marina Sitrin, insistette che dovevo scriverlo perché c’erano persone, come la sua sorella minore Sam, che avevano bisogno di leggerlo. Le ragazze, sosteneva Marina, dovevano sapere che essere sminuite non è il risultato delle loro segrete mancanze, ma delle solite vecchie guerre di genere, un’esperienza che prima o poi capita a quasi tutti gli esseri di genere femminile. Lo scrissi tutto d’un fiato la mattina dopo, di buon’ora. Quando una cosa prende forma in maniera così rapida è perché evidentemente già da molto tempo si stava componendo in qualche segreto recesso della mente. Quell’articolo voleva essere scritto; era ansioso di scendere in pista, e partì al galoppo non appena mi sedetti davanti al computer. Poiché in quei giorni Marina si alzava più tardi di me, glielo servii per colazione e qualche ora dopo lo inviai a Tom Engelhardt di TomDispatch, che poco dopo lo pubblicò online. Si diffuse rapidamente, come accade a tutti i saggi apparsi sul sito di Tom, e non ha più smesso di circolare, di essere ripostato, condiviso e commentato. Tra tutte le cose che ho scritto, è quella che ha avuto la più ampia diffusione. Aveva toccato corde profonde. E un nervo scoperto.”

Rebecca Solnit – cit. 

Di quanto ancora oggi sia scoperto questo nervo me ne accorgo ad ogni confronto con le donne che mi raccontano episodi in cui sono trattate come delle bambine anche se sono plurilaureate. Sull’altro fronte, quando tengo i corsi di formazione sulla parità di genere nelle aziende, mi trovo invece a gestire le obiezioni di chi nega, e sostiene che è scorretto farne una questione di genere perché ci sono persone saccenti a prescindere.

“In ufficio abbiamo la signora dell’amministrazione che sa sempre tutto lei solo perché è in azienda da una vita, e non manca occasione per dimostrare che lei è più informata o capace degli altri…” mi dice Antonella.

“È vero, noi invece abbiamo un collega del team che è un uomo e fa sempre il fenomeno con noi” risponde Paolo riferendosi al suo gruppo di lavoro, composto da soli uomini. 

Fenomeno non nuovo a Solnit, del resto

“nelle varie situazioni saltano fuori persone di entrambi i sessi che si mettono a dissertare su cose irrilevanti o di teorie del complotto, ma l’assoluta e polemica sicurezza di sé del perfetto ignorante ha, nella mia esperienza, una connotazione di genere. Gli uomini (alcuni uomini) spiegano le cose, a me come ad altre donne, indipendentemente dal fatto che sappiano o no di cosa stanno parlando. Ogni donna sa a cosa mi riferisco: a quell’arroganza che, a volte, mette i bastoni tra le ruote a tutte le donne, in qualsiasi settore, che le trattiene dal far sentire la propria voce e che gli impedisce di essere udite quando osano parlare, che schiaccia le più giovani nel silenzio insegnandogli, così come fanno le molestie per strada, che questo mondo non appartiene a loro. Per noi è un addestramento all’insicurezza e all’autolimitazione, mentre gli uomini tengono in esercizio la propria immotivata tracotanza.”

Rebecca Solnit – cit.

Mansplaining & Co.: mille modi per misconoscere le donne 

Zittimento, intimazione al silenzio anche in caso di molestia, spinta all’auto-limitazione sono i temi a cui Solnit fa riferimento e che ci portano oltre il mansplaining, verso tutta una serie di meccanismi relazionali e comunicativi con cui gli uomini sessisti (non tutti, quindi, ma la maggior parte, purtroppo) esercitano ogni giorno il proprio potere.

Vediamoli insieme, perché riconoscere le cose e dare loro un nome è il primo passo per riuscire ad affrontarle.

ZITTIMENTO

Donna che sia bella, zitta e a casa 

Detto popolare veneto

Tre caratteristiche che costruiscono un perfetto manifesto della cultura patriarcale

Vera Gheno, nel saggio Femminili singolari riporta questo, insieme ad una nutrita serie di proverbi e motti che generano in chi li legge oggi un senso istantaneo di indignazione (o almeno così si spera).

Ho selezionato questo tra i vari perché ci riporta all’origine di tutto: la parola negata. Lo zittimento come prima forma di subordinazione, che ne determina molte altre.

Le parole sono potenti: generano e trasformano la realtà in un magico scambio tra la cosa nominata e il suo nome.

Dunque, come meravigliosamente racconta Michela Murgia nel suo Stai zitta!, le donne che parlano sono scomode.

Una donna che parla in modo assertivo, argomentando e domandando in un contraddittorio è ritenuta polemica, se non addirittura “ una che provoca”.

La donna socialmente gradita è una donna silenziosa e dimessa. Che pensa mille volte prima di esprimere il proprio parere e che accetta di buon grado di non farlo.

La sproporzione nella possibilità di parola tra i sessi ha educato per decenni chi fruisce dei prodotti mediatici (in primo luogo talk show e dibattiti) ad associare l’autorevolezza a un uomo e a vedere nella donna che ha un parere l’eccezione che va motivata. 

In queste occasioni e in molti panel di conferenze e seminari il parterre degli ospiti è soprattutto di maschi, perché si suppone che siano loro i soli ad avere le risposte alla complessità del mondo. Da qui il termine “manel” usato da molte femministe per definire i panel composti da soli uomini. 

Se ci spostiamo invece all’ambito della vita quotidiana, notiamo ricorrere alcune frasi, che sottintendono il silenzio per le donne:

Non fare la maestrina!

Fai tu la moderatrice.

Vuoi sempre avere ragione!

Quando è una donna a sostenere il contraddittorio con un uomo, capita spesso che si senta rimproverare il fatto di riuscirci bene. 

La donna che non vuole irritare l’uomo con cui si sta confrontando deve agognare di avere spesso torto o almeno di non avere sempre ragione.

Queste le riflessioni di Murgia, che in effetti è stata protagonista di uno scontro con lo psicoterapeuta Raffaele Morelli, il quale, incapace di sostenere il contradditorio con le argomentazioni, le ha intimato di stare zitta durante un confronto in radio di qualche anno fa.

Qui puoi vedere il video per notare le strategie comunicative adottate dai due interlocutori: spesso lo mostro nei corsi che tengo in azienda perché è un condensato di spunti di osservazione e riflessione.

Ti chiedo, a questo punto, se ti sei riconosciuta in alcune delle situazioni descritte: quante volte ti è capitato di essere zittita o vittima di mansplaining?

Quante volte hai visto questi atteggiamenti agiti nei confronti delle tue colleghe, amiche o di altre donne all’interno della tua famiglia? 

Ma la nostra carrellata non è finita, purtroppo.

GASLIGHTING

Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui la vittima viene spinta a dubitare della propria memoria, percezione o sanità mentale attraverso sistematiche negazioni, distorsioni della realtà e contraddizioni. Questo termine trae origine dal film del 1944 “Gaslight”, in cui un marito manipola piccoli elementi dell’ambiente domestico per far credere alla moglie che lei stia perdendo la ragione. Il gaslighting è spesso usato per esercitare potere e controllo e può avere effetti devastanti sulla fiducia in sé e sulla capacità di giudizio di chi ne è vittima.

Ecco alcuni esempi concreti di gaslighting tratti dai racconti di alcune delle mie clienti.

Il capo di Marta nega di averle promesso una rivalutazione della sua posizione in azienda, anche se lei ha una chiara memoria di quella conversazione. La strategia di gaslighting si ripete anche quotidianamente, ad esempio quando Marta è certa di avere un appuntamento fissato con lui e un cliente per la verifica del budget, ma lui non si presenta attribuendo a lei la negligenza nell’organizzazione. Il suo capo in passato è stato segnalato in direzione per dei comportamenti offensivi nei confronti di altre collaboratrici, al momento del confronto con la direzione le colleghe convocate avevano minimizzato la situazione, come se non la ricordassero o non ne fossero sicure.

Un altro esempio potrebbe essere la prassi del manager di Chiara, che al momento della revisione annuale sui risultati, le ha fatto credere di non ricordare correttamente le istruzioni condivise a inizio progetto per accusarla di non aver completato il lavoro come richiesto, spingendola a dubitare della propria competenza e affidabilità.

Non hai idea di quante storie di questo tipo accolgo da parte delle clienti con cui lavoro nei percorsi di empowerment!

Purtroppo la prassi in molte aziende è ancora quella di esercitare una leadership aggressiva, basata su meccanismi di sopraffazione come questi, specie quando in gioco ci sono le carriere delle donne.

La precisazione che ci tengo a fare è che il gaslighting, a differenza del mansplaining e dello zittimento che sono meccanismi “istantanei” ed evidenti nella conversazione,  è particolarmente pericoloso perché spesso molto sottile e prolungato nel tempo, quindi più difficile da individuare e da affrontare, proprio perché mina la salute mentale della vittima, rendendola sempre più dipendente dall’aggressore per la validazione della realtà. 

Il consiglio che posso darti (se leggere questa spiegazione ti ha fatto venire qualche dubbio) è quello di iniziare a prendere nota su un diario della dinamica che stai vivendo per capire con quale frequenza si verifica e cosa puoi fare per contrastarla. Affrontare simili situazioni, insieme al mansplaining dei colleghi e ai contradditori in ambito personale e professionale è parte del viaggio che faccio con le professioniste con cui lavoro in 3MesiXSvoltare.

3MesiXSvoltare

Ha già aiutato decine di donne a realizzare le proprie ambizioni. Se vuoi scoprire come, clicca il pulsante per saperne di più!

Qualora però ti sentissi in una situazione talmente pesante da renderti incapace di reagire con le tue sole forze, sarà importante manifestare il tuo disagio e la relativa richiesta di aiuto il prima possibile, appellandoti a supporti come la Consigliera di Parità della tua zona o uno sportello psicologico.

INFANTILIZZAZIONE

L’infantilizzazione delle donne è un fenomeno molto diffuso, che si manifesta quando sono trattate come se fossero delle “eterne bambine” quindi meno capaci, mature o competenti di quanto non siano effettivamente, a causa del loro genere. Questo può accadere in molti contesti, inclusi quelli pubblici e nell’ambito della salute e della giustizia.

Durante una riunione, un collega interrompe Paola (dirigente di dipartimento) chiedendole con un sorriso falso se ha compreso appieno il piano strategico condiviso, come se la complessità dell’argomento fosse troppo elevata per lei, nonostante la sua esperienza e posizione. Un atteggiamento che Paola ha riconosciuto come consuetudine del collega solo grazie al lavoro di consapevolezza fatto insieme: non era altro che uno dei meccanismi con cui lui (che in realtà teme la sua preparazione) cercava di sopravanzarla nelle situazioni in cui si presentavano al cospetto dell’AD e della direzione generale.  

Un’altra mia cliente, Serena, che si occupa analisi di laboratorio in un settore molto di nicchia e tradizionalmente maschile come il tessile, si trova spesso nella situazione in cui i clienti chiedono del suo collega per discutere le specifiche tecniche di un prodotto, anche se è lei la persona con maggior expertise, presupponendo che l’uomo sia tra i due il più qualificato, proprio perché uomo.

Resta da raccontare in questo paragrafo anche il paternalismo immortalato nello scatto comparso su tutti i giornali dopo una recente visita della Presidente del Consiglio Meloni negli USA.

Biden bacia “affettuosamente” Meloni sulla testa. Non si tratta ovviamente di una molestia, ma sarebbe sbagliato liquidare in modo sbrigativo questo atteggiamento come “fuori luogo” rispetto al contesto.

Se, ancora nel 2024, il Presidente degli Stati Uniti si permette questo comportamento con una donna in veste istituzionale come se fosse del tutto naturale, significa che c’è ancora moltissimo lavoro da fare per smantellare il maschilismo imperante, anche quando si tratta come in questo caso di “sessismo benevolo”.

Perché non c’è niente di buono, per le donne, nell’essere trattate come delle piccole bisognose di protezione anche quando si muovono in contesti internazionali. La nostra intolleranza a queste manifestazioni di potere maschile è un dovere morale nei confronti di tutte le donne del pianeta, al di là delle opinioni politiche che rappresentano.

Riconoscere e contrastare l’infantilizzazione è quindi un altro punto essenziale per promuovere l’empowerment delle donne.

BROPROPRIATING  

“Quando ci sono le riunioni con la direzione lui prende sempre la parola: <<Abbiamo fatto questo e quest’altro…>> , ma in realtà sono risultati che ho portato a casa io, lavorando anche per lui e anzi, solitamente con i suoi bastoni tra le ruote”, mi racconta Luisa durante una sessione del percorso insieme.

Ha deciso di iscriversi a 3MesiXSvoltare per risolvere un problema di organizzazione personale, scoprendo però, grazie al mio aiuto, che si trattava in realtà di lavorare sulla sua assertività e sulla difesa dei propri meriti, più che sull’agenda.

La situazione che ho riportato qui, attraverso le sue parole, è un classico esempio di bropropriating: il suo collega è (era, perchè adesso è stato neutralizzato!!)  infatti solito attribuirsi i meriti dei risultati che lei consegue in prima persona, aspetti sui quali invece il suo pari grado si dimostra tanto incompetente, quanto capace di camuffare la cosa agli occhi dei superiori.

Il termine deriva dalla combinazione delle parole Brother (= fratello) e propriating (= appropriazione). Con bropropriating intendiamo infatti quel particolare tipo di prevaricazione perpetrata da parte di uomini a danno delle loro “colleghe”, che si è manifestata più volte nel corso della storia delle arti, delle scienze e tecnologie.

Di esempi di furti dell’eccellenza femminile è piena la storia: pensiamo ad esempio a Rosa Bonheur, pittrice, i cui quadri sono stati spacciati a lungo come opere del marito, o a Mary Anning, paleontologa, esclusa in quanto donna dalla Geological Society of London, i cui scritti sono stati pubblicati da scienziati uomini a loro nome e senza menzionarla. Persino Rosalind Franklin (che ha scoperto la configurazione ad elica del DNA) ha subito la stessa sorte vedendo assegnato il suo merito a tre colleghi, vincitori al suo posto del premio Nobel. 

Ad un convegno una signora mi chiese “È qui con suo marito?” convinta che fossi la moglie di uno dei relatori-scienziati. 

“Sono io mio marito” risposi.

Rita Levi Montalcini

Il Mansplaining come forma di potere

Nel contesto mediatico, il mansplaining si manifesta spesso durante dibattiti, interviste e altre situazioni pubbliche. 

Si pensi alle interruzioni di Donald Trump ad Hillary Clinton in cui cercava di “spiegarle” concetti politici o legali, nonostante la lunga carriera e l’esperienza di Clinton in tali campi. Questo comportamento è stato ampiamente discusso dai media come un esempio di mansplaining.

Un secondo caso noto è quello della tennista Serena Williams, una delle atlete più titolate della storia, che spesso durante le interviste si è trovata di fronte interlocutori uomini intenti a spiegarle aspetti tecnici del tennis o della sua stessa carriera. 

Il mansplaining nei media non è solo l’effetto di un pregiudizio di genere, ma anche l’origine di una percezione pubblica scorretta e sminuente delle donne e delle loro competenze in vari ambiti, che ha lo scopo di neutralizzare il loro potere di impatto e di influenza come role model.

Arrivate a questo punto credo sia emerso chiaramente che il mansplaining e tutti gli altri atteggiamenti che abbiamo analizzato sono solo la punta dell’iceberg di una questione molto più estesa e profonda: la detenzione del potere (relazionale, culturale, sociale, politico, economico,..) e il modo in cui si esercita attraverso i gesti e le parole, in un continuum che parte con atteggiamenti come “mi sono dimenticato di passarti parola della  riunione con la Direzione” e termina, nei casi più estremi con la violenza fisica.

Ancora giovanissima, quando appena iniziavo a capire cosa fosse il femminismo e perché fosse indispensabile, avevo un ragazzo il cui zio era un fisico nucleare. Una volta, a Natale, si era messo a raccontare–come se si fosse trattato di un argomento leggero, divertente–che nella sua comunità suburbana di costruttori di bombe una vicina era uscita di casa correndo, nuda e in piena notte, urlando che il marito voleva ucciderla. Come faceva a sapere, gli domandai, che il marito non stesse davvero cercando di ucciderla? Lui, paziente, spiegò che erano una coppia borghese e rispettabile. Dunque, un marito con intenzioni omicide non costituiva una spiegazione plausibile perché quella donna scappasse di casa strillando che lui stava tentando di ammazzarla. Al contrario, probabilmente lei era matta. 
(…) Mentre scrivevo il saggio, mi sorpresi del fatto di avere iniziato con un aneddoto divertente e di concluderlo parlando di stupro e di assassinio. Ciò mi rese evidente l’esistenza di un continuum che va dalla miseria sociale nelle sue forme meno rilevanti al mettere a tacere in modo violento e alla morte violenta (e io credo che la nostra comprensione della misoginia e della violenza contro le donne migliorerebbe alquanto se considerassimo l’abuso di potere come un’unica realtà, invece di trattare la violenza domestica come cosa distinta dallo stupro, dall’omicidio, dalle molestie e dalle intimidazioni, sul web, a casa, sul luogo di lavoro e per strada: visto nel suo complesso, lo schema è chiaro). Avere il diritto di farsi vedere e di parlare è il fondamento della sopravvivenza, della dignità e della libertà. 

Rebecca Solnit, cit.

Ogni episodio di mansplaining a cui assistiamo dovrebbe ricordarci che ancora oggi ci sono paesi del mondo in cui la testimonianza delle donne non ha valore giuridico.

Gli uomini mi spiegano le cose, ma io sono stufa! Strategie per superare il Mansplaining

Come abbiamo visto, subire mansplaining, gaslighting, bropropriating ogni giorno porta le donne a mettere in discussione la fiducia in se stesse, nelle proprie capacità e competenze.

Le spinge a stare sempre al di sotto di ciò che potrebbero dare e fare, per timore di non essere all’altezza, di non meritare di più o di suscitare repressione e forme più o meno esplicite di invidia e di violenza da parte di uomini spesso anche meno capaci, ma facilitati dal loro genere sia dal punto di vista personale che professionale. 

Contrastare il mansplaining è quindi essenziale per intervenire sugli squilibri di genere ancora imperanti e sgombrare – a noi stesse e alle donne – il campo delle possibilità. 

Passando dalla teoria alla pratica, ecco alcune strategie di difesa con cui alleno le mie clienti dei percorsi di empowerment:

  • Interrompere il mansplaining grazie ad una comunicazione assertiva permette di riportare la conversazione su un piano di parità. Se stai subendo mansplaining, interrompilo intervenendo in modo diretto, ad esempio potresti dire: “Grazie per il tuo punto di vista, sono già ben informata su questo argomento.”
  • In alcuni casi è utile anche intervenire con l’informazione e la sensibilizzazione: proprio mentre scrivevo questo articolo ho chiesto ad alcuni/e conoscenti se sapessero cosa sia il mansplaining e mi hanno risposto di no. Raccontare loro che esiste, può aiutare gli uomini ad evitare questi comportamenti e le donne ad essere consapevoli che il mansplaining è qualcosa di ben preciso, che possono allenarsi a riconoscere e a rifiutare. Se non ti senti abbastanza preparata per farlo da sola, inoltra questo articolo!
  • Supporto Reciproco: La solidarietà femminile è fondamentale per contrastare queste ed altre dinamiche sessiste: supporta le tue colleghe ed amiche nelle situazioni in cui ti sembrano in difficoltà di fronte ad un uomo che vuole dimostrare di essere meglio di loro e condividi pareri, esperienze e buone pratiche.

Possiamo concludere le nostre riflessioni dicendo che il mansplaining non è un semplice “fastidio” che alcune donne si trovano a sperimentare in azienda o nel contesto pubblico. 

È un fenomeno che ha a che vedere con l’esistenza stessa del loro spazio e del loro diritto ad essere ascoltate, a desiderare e ad avere di più, che agli uomini viene invece riconosciuto naturalmente.

“La maggior parte delle donne combatte una guerra su due fronti, uno riguardante l’argomento presunto, qualunque esso sia, uno semplicemente per il diritto di parlare, di avere idee, di vedersi riconosciute in possesso di fatti e verità, di valere, di essere considerate umane. La situazione è migliorata, ma questa guerra alla mia morte non sarà ancora terminata. Io la sto ancora combattendo, certamente per me stessa, ma anche per tutte le donne più giovani che hanno qualcosa da dire, nella speranza che riusciranno a dirlo.” scriveva Rebecca Solnit, ed io, con il mio lavoro quotidiano al servizio delle donne, voglio farlo con lei. 

È il momento di darti il permesso di desiderare di più, e di riuscire ad ottenerlo!

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